LAGOSANTO. «La mia colpa? Essere povero e disabile». Carlo abita in via Cristoforo Colombo a Lagosanto. Ha una cinquantina d’anni e lavora saltuariamente per il Comune. Da tempo una banda di bulli lo ha preso di mira e la sua vita è diventata un inferno.
La disperazione
«Mi hanno fatto di tutto. Di tutto - racconta Carlo - . Io non ce la faccio più, la mia è già una vita difficile, chiedo solo di essere lasciato in pace». Il “gioco” consiste nel passare a gran velocità davanti alla casetta di via Colombo e tirare sassi alla finestre, ormai tutte rotte oppure petardi all’interno. Ma anche urla, parolacce, offese di ogni genere con lo scopo di farlo uscire e reagire. «Ma ormai ho capito e sto chiuso dentro perché le volte in cui ho aperto la porta mi hanno tirato grossi sassi, sono anche finito in ospedale con il braccio ferito». Un’altra volta l’uomo, che ha difficoltà a camminare, è anche caduto e si è rotto due costole, mentre loro ridevano e urlavano.
la banda
I ragazzini frequentano tutti le scuole medie e cambiano di anno in anno. Quelli che “crescono” lasciano il gruppo e passano il testimone ai più piccoli: per l’operaio un incubo senza fine. Tutti sanno chi sono anche se «col buio non è facile capire» e i carabinieri sono stati chiamati decine e decine di volte ma «spariscono in pochissimi attimi e poi sono minorenni...non è facile, abbiamo tutti le mani legate».
Eppure ne combinano di ogni: giochi per i bambini puntualmente danneggiati al parco, sedie dei bar spaccate e lanciate in giro e l’altra sera sono stati sorpresi con un triciclo da bambino tra le mani e hanno ben pensato di lanciarsi dalla strada in discesa del ponte di Lagosanto, con due auto che se li sono trovati davanti e sono riuscite a evitarli per miracolo.
La vittima
Carlo è stato chiamato dal Comune per i Lavori socialmente utili ed ha iniziato a lavorare. «Sono molto contento - dice -. Questa casa è tutto quello che ho. L’altra sera mi hanno spaccato l’ennesima finestra, sono andato in discarica ed ho trovato due persiane. Vede? Le ho montate così almeno posso chiudermi. E poi ho fatto anche questo cancello di legno».
La storia
Il cancello è chiuso con una catena da bicicletta. Il giardino è molto curato, pulito e in ordine e rispecchia il suo proprietario, che per estremo pudore quando si affaccia, si chiude la porta dietro le spalle a celare cosa c’è dentro. E lo dice: «Non ho molto, non posso permettermelo, non voglio che guardiate. I miei fratelli sono scappati quando eravamo piccoli. Io avrei tanto voluto ma avevo mia mamma e mia nonna e non me la sono sentita, non ho avuto il coraggio di lasciarle sole. Ho fatto degli errori anche io, ci mancherebbe, ma adesso chiedo solo di stare tranquillo. Sono stanco e malandato, basta per favore. Basta».
Ci sono storie che più di altre vanno raccontate per dare voce a chi non ne ha. La speranza è che i genitori di quei ragazzini leggano e riconoscano nei fatti i loro figli. La speranza è di riuscire a raccontare il dolore di una persona che non ha alcuna colpa ma tanta dignità: «Io non reagisco. Sono bambini. La rabbia mi sale ma la rimando giù, non gli farei mai del male». Ecco, questo è un uomo. —