FERRARA. La voce “flautata” di Pasolini, quella carezza ad Antonioni, la cena con Ennio Flaiano e Natalia Ginzburg. È l’attore Lino Capolicchio a raccontare in esclusiva alla Nuova Ferrara i ricordi di una vita, lui diventato famoso grazie all’interpretazione ne Il giardino dei Finzi-Contini di De Sica. Con sincerità ci spiega il dispiacere per «questa condanna» di essere etichettato in un solo ruolo. Rammarico comprensibile per chi ha all’attivo un’ottantina fra interpretazioni teatrali, cinematografiche e televisive, oltre ad alcune regie.
Dopo 45 anni da quel capolavoro che ha segnato la sua carriera, l’abbiamo incontrato in una delle sue sporadiche visite a Ferrara, ospite dell’artista Flavia Franceschini e di Anna Maria Quarzi, presidente dell’Istituto di storia contemporanea.
Le memorie scorrono quasi fossero dotate di vita propria. Iniziano con Valerio Zurlini e la comune passione per la pittura: «Quando ci vedevamo non parlavamo di cinema ma di pittura, e questo gli piaceva». Meno condivisa la passione per Dante Gabriel Rossetti, tanto che «Zurlini una volta - ci racconta divertito - si inalberò, mi prese per il colletto chiedendomi come potessi amare un'arte così kitsch!».
Uno degli aneddoti più toccanti riguarda Michelangelo Antonioni. Siamo nel 2007, circa tre mesi prima della sua morte: «Lo vado a trovare - dice emozionato - e, prima di congedarmi, spontaneamente lo accarezzo sul viso, come per un ultimo saluto».Altra visita indimenticabile quella del ’68 a Pier Paolo Pasolini, che lo invita nella sua casa a Roma. Di quel giorno ricorda «il suo sguardo febbricitante, l’umiltà e il riserbo antico» della madre e le parole dello scrittore-regista: «Mi disse che in quanto artista non dovevo omologarmi, e quindi dovevo tagliarmi i capelli, e che la bellezza del mio volto rappresentava la decadenza della borghesia novecentesca».
Capolicchio è gracile e melanconico, «metodico, severo e austroungarico», come lui stesso si definisce. Parla degli incontri con Alida Valli, Laura Antonelli, Giorgio Strehler. E del ricordo, non meno importante, a 12 anni, di quella ragazzina che gli dice: «Hai un volto d’attore». Da lì iniziò tutto: dai complimenti di una bambina e da un tragico giardino estense.
Andrea Musacci
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